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Casi di Danno da Parto. Le Ragioni e il Risarcimento

Casi di Danno da Parto. Le Ragioni e il Risarcimento. Di seguito sono elencati alcuni casi che hanno provocato Danno da Parto e come sono stati affrontati e gestiti in Tribunale per il Risarcimento

Risarcimento Danno da Parto ai fratelli nati successivamente

La Corte di Cassazione (Sentenza n. 9048/18) ha affermato che non spetta nessun risarcimento ai fratelli postumi del bambino nato con handicap a causa di errore dei sanitari durante il parto. Tra la condotta dei sanitari e il danno lamentato dagli odierni ricorrenti non può esservi nemmeno un rapporto di causalità c.d. giuridica. Ammettere, infatti, che il fratello postumo d’un bimbo nato invalido per colpa d’un medico durante il parto possa domandare a quest’ultimo il risarcimento del danno consistito nel nascere in una famiglia non serena, produrrebbe effetti paradossali. Non è infatti concepibile sostenere, secondo la Suprema Corte, che persone non solo non nate, ma neanche concepite al momento della commissione del fatto illecito, possano domandare al responsabile di questo un risarcimento per danno da parto.

Danno da Ritardato Parto Cesareo-Ipossia/Anossia

Vi sono diversi interventi del Supremo Collegio che hanno enunciato alcune regole in relazione alla responsabilità medica per danno da parto.

In particolare, l’affermazione della responsabilità del medico per i danni cerebrali da ipossia patiti da un neonato, causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova della sussistenza di un valido nesso causale tra l’omissione dei sanitari ed il danno.

Tale prova sussiste quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno da parto al neonato (Cass. N. 11789/2016).

Inoltre, in presenza di un’azione o di un’omissione dei sanitari nella fase del travaglio o del parto che abbiano in ipotesi l’attitudine a determinare l’evento, se la causa del danno resta ignota questa non può ridondare a vantaggio della parte obbligata. Quest’ultima è infatti tenuta alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere l’eziologica derivazione del pregiudizio dalla condotta inadempiente (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017 n. 8664; Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2011, n. 12686; Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2011, n. 3847).

Sul tema è molto interessante una pronuncia del Tribunale di Palermo del 5 luglio 2017, in cui è stata riconosciuta la responsabilità di una struttura ospedaliera per danno da parto, per il ritardo con cui i sanitari ebbero ad eseguire il parto cesareo. La gravidanza si concludeva con un parto cesareo e, a quel punto, i sanitari si rendevano conto che il neonato presentava sintomi di anossia. L’anossia perinatale era, a propria volta, la causa di ulteriori gravissime patologie che rendevano il bambino totalmente invalido. In relazione a queste drammatiche conseguenze, i genitori del disabile, in proprio e nella loro qualità di legali rappresentanti, esperivano l’azione risarcitoria contro la competente Azienda Sanitaria Provinciale per danno da parto.

Sulle domande finalizzate al risarcimento dei danni scaturenti da ipossia neonatale si registrano diversi interventi della Suprema Corte, che hanno enunciato alcune regole specifiche, specie con riferimento ai profili probatori, in armonia con i principi di portata più ampia che governano la responsabilità dei medici e delle strutture in cui essi operano.

Si è in particolare evidenziato che l’affermazione della responsabilità del medico per i danni cerebrali da ipossia patiti da un neonato, ed asseritamente causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova della sussistenza di un valido nesso causale tra l’omissione dei sanitari ed il danno da parto, prova da ritenere sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno da parto al neonato (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2016, n. 11789).

Invero, in presenza di un’azione o di un’omissione dei sanitari nella fase del travaglio o del parto che abbiano in ipotesi l’attitudine a determinare l’evento, l’esser rimasta ignota la causa del danno da parto non può ridondare a vantaggio della parte obbligata, la quale è anzi tenuta alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere l’eziologica derivazione del pregiudizio dalla condotta inadempiente (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017 n. 8664; Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2011, n. 12686; Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2011, n. 3847).

Nel caso vagliato dal giudice palermitano mancavano elementi che potessero far deporre per la sussistenza di alterazioni o di anomalie nella condizione della partoriente ovvero di condizioni genetiche del feto o che, comunque, lasciassero ipotizzare altre cause naturali del danno cerebrale. Il quadro era ulteriormente aggravato dalla lacunosità della cartella clinica; si ritiene, infatti, che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non possa pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni, ove sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6209). Tutto ciò ha fatto sì che si ritenesse acclarata la responsabilità della struttura ospedaliera nella verificazione dei pregiudizi subiti per danno da parto dal bambino e dai genitori.

Dalla sentenza del Tribunale di Palermo si possono cogliere spunti interessanti anche rispetto alla quantificazione del ristoro da concedere ai diversi danneggiati in caso di danno da parto. L’unica voce di danno patrimoniale di cui si è fornita adeguata dimostrazione in giudizio è stata quella riguardante la futura compromissione della capacità lavorativa del minore per danno da parto. Si è provveduto perciò a costituire una rendita vitalizia, la quale da erogare mensilmente, al raggiungimento della maggiore età del minore, per un ammontare pari al triplo della pensione sociale. Per quel che concerne poi l’area del danno non patrimoniale da parto, al bambino è stata attribuita la somma risultante dall’applicazione delle tabelle in uso presso il Tribunale Milano, operando l’aumento personalizzato sul valore standard nella misura massima consentita dalle medesime tabelle (la cosidetta “personalizzazione”).

Degna di nota è inoltre la commisurazione del danno non patrimoniale da parto da riconoscere alla madre e al padre, la cui configurabilità, pur in assenza di menomazioni alla propria integrità psico-fisica, può desumersi dalla gravità delle lesioni riportate dal figlio. Il giudicante, a tale proposito, evidenzia un più che verosimile impatto sul modo di essere del nucleo familiare e di svolgimento della vita di relazione di ciascuno dei coniugi (in un caso analogo, ai genitori di una bambina che, a causa di omissioni addebitabili al personale sanitario in occasione del parto, era rimasta totalmente e permanentemente invalida, era stato attributo il risarcimento del danno non patrimoniale da parto in relazione al turbamento familiare e relazionale, correlato alla necessità di accudire vita natural durante una figlia gravemente malata, soffrendo per il fatto di vederla continuamente in uno stato di profonda prostrazione fisica e non potendo fruire delle tipiche gioie connesse alla crescita e alla maturità della figlia stessa: Trib. Brindisi, 2 febbraio 2009). A detto titolo, data la particolare intensità della sofferenza, è stato accordato a ciascuno dei genitori un importo corrispondente al livello più elevato della quota di individualizzazione del danno non patrimoniale da parto spettante al minore, secondo gli anzidetti criteri tabellari.

Un Caso di Responsabilita Medica per Danni da Parto. Onere della Prova del Nesso di Causalità.

L’onere di provare il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante e l’evento dannoso grava sul danneggiato, in virtù dei principi di diritto in tema di accertamento e prova della condotta colposa e del nesso causale nelle obbligazioni risarcitorie (Corte di Cassazione, nella sentenza 15 febbraio 2018, n. 3704)

Nel caso di specie, a una donna in gravidanza, ricoverata in ospedale, si somministrava ossitocina per l’induzione farmacologica del parto. Si verificava poi il distacco della placenta e si procedeva con taglio cesareo, per via della sofferenza fetale. La bambina pativa così, in occasione delle complicanze sorte durante la nascita, un danno alla salute per danno da parto. I genitori quindi, in proprio e in qualità di legali rappresentanti, agivano in giudizio, nei confronti dell’Azienda ospedaliero-universitaria e dell’Ateneo corrispondente, domandandone la condanna al risarcimento del danno da parto che assumevano subiti in conseguenza di trattamenti sanitari inadeguati per il parto della figlia. Il giudice di prime cure rigettava la domanda e la Corte d’appello di Torino dichiarava inammissibile il gravame avanzato dagli attori, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. Avverso la sentenza di primo grado veniva allora proposto ricorso per cassazione.

Il motivo con cui i ricorrenti sostengono che il tribunale avrebbe fatto pesare sugli attori danneggiati l’onus probandi circa la colpa e il nesso causale ingiustamente, dal momento che – secondo la loro tesi – “il danneggiato non deve dimostrare il nesso causale, né la colpa medica”, è ritenuto infondato.

La Suprema Corte ha affermato che «È onere dellattore, paziente danneggiato, dimostrare lesistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non, la causa del danno; se, al termine dellistruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (in tal senso, di recente, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 26824 del 14/11/2017; Sez. 3, Sentenza n. 26825 del 14/11/2017, non massimate)».

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