Facebook: c’è il reato di diffamazione anche se si indica il nome della persona.
La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 16 aprile 2014, n. 16712 ha chiarito che ai fini della integrazione del reato di diffamazione è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa (Sez. 5, n. 7410 del 20/12/2010).
Il reato di diffamazione d’altronde non richiede il dolo specifico: è sufficiente, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie, la consapevolezza di pronunciare una frase che lede la reputazione di un’altra persona e la volontà che la stessa frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due.
Nel caso di specie un militare della Guardia di finanza, pubblicava sul proprio profilo facebook la frase «…attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di collega sommamente raccomandato e leccaculo…ma me ne fotto … per vendetta appena ho due minuti gli trombo la moglie», offendendo in tal modo la reputazione del maresciallo designato in sua sostituzione. La Suprema Corte ha annullato la sentenza della Corte Militare di appello sostenendo che, oltre a ricevere insulti, la persona a cui si rivolge è chiaramente identificabile e per di più da una moltitudine di persone. A nulla è valsa la tesi della Corte di merito circa il fatto che l’imputato non avesse indicato il nome del suo successore.